Osvaldo Licini

Osvaldo Licini

FIGURATIVO

Il periodo figurativo

Il primo dipinto conosciuto realizzato da Licini è il Ritratto del nonno Filippo del 1908, anno dell’immatricolazione all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Il dipinto evidenzia una maturità artistica inusitata in un ragazzo di quattordici anni e presenta i caratteri della ritrattistica precoce di Licini: l’inquadratura molto ravvicinata, l’impasto denso, il cromatismo raffinato.

Quando nel 1929 Licini  risponde al questionario Scheiwiller – che l’editore aveva inviato ai maggiori artisti italiani ai fini di pubblicare l’anno successivo il volume “Art Italien Moderne” – ricostruisce schematicamente in questo modo la sua attività artistica fino a quel momento:

 «1913-1915 Primitivismo fantastico, 1915-1920 Episodi di guerra (quasi tutti distrutti), 1920-1929 Realismo?»

Al primo periodo risalgono l’Autoritratto e il Ritratto di Giacomo Vespignani, entrambi del 1913, anno in cui scrive i Racconti di Bruto di chiara matrice futurista. I due dipinti non si hanno i caratteri propri del Futurismo, semmai nell’incisività del gesto pittorico e nella trattazione della materia risultano più vicini alla temperie fauve.

Le poche opere rimaste della fase 1915-1920 sono incunaboli che presentano una significativa connotazione paesaggistica: Il cacciatore, datato da Marchiori 1917 come i più schematici Pattinatori, si muove tra “stilizzazioni arboree affusolate”, scrive Ragghianti, simili a carnose corolle su alti steli che condividono con le Bagnanti di Morandi del 1915 la medesima matrice cézanniana. I coevi Soldati Italiani, più vicini alla temperie futurista, eseguono la loro sincronica marcia, che sembra un passo di danza, in uno spazio spettrale delimitato nel fondo da una catena montuosa stilizzata: probabilmente sono i monti del fronte dell’Isonzo dove Licini aveva da poco combattuto. In cielo la sfera solare e una figura – sorta di Angelo ribelle ante litteram – che piomba dall’alto brandendo una spada.

La pittura degli anni venti ci viene descritta dall’artista stesso in una lettera del ‘35 al critico Marchiori, quello che più l’ha seguito da vicino:

 «La mia pittura preastratta è pittura fauve che viene da Cézanne, Van Gogh e Matisse, tra i maestri di prim’ordine, e i miei disegni lo possono provare»

In questo decennio Licini sperimenta tutti i generi della tradizione pittorica – ritratto, nudo, natura morta, paesaggio – sperimentando diverse cifre stilistiche.  Di questo periodo è una serie di ritratti dedicati per lo più alla madre e a Nanny Hellströmm, la pittrice svedese conosciuta in Francia che sposa nel 1926 e con la quale condividerà la vita ritirata a Monte Vidon Corrado, nella casa paterna. Vicini alla temperie espressionista sono i ritratti di Nella, in cui la figura e lo sfondo hanno la stessa sostanza e il corpo acerbo e ossuto si svuota, si deforma. Questi dipinti del ’26 sono realizzati nella “profondissima quiete” di Monte Vidon Corrado, dove ormai l’artista si è stabilito definitivamente riconoscendo il suo paese come luogo della creazione. Il paesaggio marchigiano compreso tra la sinuosità dei Sibillini e le lontananze della marina Adriatica, aperto sull’infinità siderea è fonte di ispirazione primaria in tutto il percorso artistico di Licini. 

Il ’26 è anche l’anno in cui l’artista si avvicina al gruppo del Novecento partecipando a Milano alla “Prima Mostra del Novecento Italiano” ed esporrà anche alla seconda nel 1929. Ma si tratta solo di una condivisione esteriore: nelle sue opere non c’è mai quella pienezza di masse tipica del Novecento, la linea corrode i volumi anziché tornirli. Prevale il senso di precarietà esistenziale, non il classico, pacato dominio razionale della realtà. 

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OSVALDO LICINI

Osvaldo Licini > PERIODO

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